20 Gennaio 2014 • 1 commento
Il palio dello stufato alla sangiovannese
Sagre e mercatiniIeri sono stata invitata a San Giovanni Valdarno, per far parte della giuria dello Stufato alla Sangiovannese. E’ un piatto tipico di questa cittadina, la cui ricetta si tramanda di generazione in generazione, seppur con diverse varianti, e che viene cucinato principalmente nel periodo di Carnevale. Alcuni ristoranti lo propongono anche in altri periodi dell’anno, ma il momento corretto è appunto il Carnevale.
Nonostante gli ingredienti comuni, se non uguali, ognuno lo cucina in maniera differente. Ecco quindi che da 5 anni si svolge il Palio dello Stufato alla Sangiovannese per premiare chi ha cucinato lo stufato più buono.
La sede prescelta era la bella sala di fianco alla Basilica di Santa Maria delle Grazie, dietro il palazzo di Arnolfo – sotto i cui loggiati ieri si teneva anche un minuscolo mercatino dell’antiquariato – nel centro storico di S.Giovanni. Era prevista anche l’inaugurazione della via delle Spezie, ma è stata rimandata per maltempo.
La basilica, oltre a essere un Santuario Mariano della Diocesi di Fiesole (grazie a Stefania per avermelo raccontato), ha la particolarità di essere rivolta al contrario rispetto all’ingresso: in pratica voi entrate e vi trovate accanto all’altare, con le panche dei fedeli che vi fissano! La basilica fu eletta per via del miracolo di Monna Tancia: anticamente c’era la porta che delimitava il Castello, con una Madonna raffigurata. Accadde che durante la peste (1478), un’anziana signora pregò la Madonna di poter avere un po’ di latte per sfamare il nipote di 3 mesi. Cosa che avvenne. La notizia si sparse e persone da tutta la Toscana accorrevano (si dice anche Lorenzo de’ Medici!), così fu deciso di erigere una cappella, poi trasformata in chiesa, per accogliere i fedeli. I pellegrini portavano offerte, e si fermavano per il ristoro.
Ma veniamo al Palio! Nell’affollata sala (circa 400 persone) c’era un pranzo di specialità locali e una giuria “tecnica” che doveva valutare il miglior stufato fra 6 proposti, realizzato da normalissimi cittadini, non da ristoratori. Infatti appena arrivata mi hanno fatto firmare un foglio per evitare problemi! Insieme a me in giuria c’era Stefania Pianigiani, Sabino, Marco Stabile, Leonardo Romanelli, Valeria Carbone, Paolo Tizzanini dell’Acquolina, il delegato di AIS Valdelsa e altri.
La degustazione prevedeva 6 assaggi, con una scheda per valutare: colore e consistenza, sapore e profumo, e un giudizio complessivo sull’equilibrio dei vari ingredienti.
Io ho avuto fortuna perché accanto a me era seduto Ennio, un camerlengo degli Uffizi, quindi una delle masssime autorità in merito di Stufato. Per saperne di più sugli “Uffizi”, consiglio la lettura di questo ottimo post. Oggi ce ne sono 4, più uno delle donne, che un tempo non cucinavano lo stufato.
Riguardo agli ingredienti: lo Stufato alla Sangiovannese – guai a chiamarlo spezzatino! – si fa con il muscolo della zampa anteriore del vitello, brodo sempre di zampa, sale, pepe, olio e uno speciale mix di spezie chiamato Drogo, che viene preparato da sempre dal Pratesi, negozio storico locale. Infine ci vuole anche il vino (Chianti). Il tutto deve cuocere per circa 6 ore, in pentoloni enormi.
Ennio mi ha spiegato alcuni dettagli che mi sono serviti a capire quale fosse il piatto migliore. Il colore deve essere più simile al marrone, che al rosso. Il pepe non si deve sentire. L’olio deve minimo. La consistenza non deve essere liquida.
Sulle origini dello Stufato corrono varie leggende. Pare che nella guerra del 15-18 un cuoco di reggimento andò in Africa, forse Libia o Eritrea, e prese possesso di alcune spezie. Una volta tornato le usò per “drogare” la carne, ovvero per insaporirla, ma forse anche per coprirne odori sgradevoli, dal momento che in quel tempo non c’era il frigo. Altre versioni parlano di influenze dell’Europa centrale, avvicinandolo al goulash.
A questo c’è da aggiungere che già da fine ‘800, al momento in cui si svilupparono le industrie in Valdarno, come la Ferriera, gli operai avevano cominciato a cucinare le frattaglie, in luoghi dove di sicuro forni con alta temperatura non mancavano. Come storia mi ricorda quella del peposo dell’Impruneta.
Insomma fra un aneddoto raccontato dall’anziano camerlengo – che con ironia mi ha detto che è una carica a vita, tanto ne muore uno ogni 10 anni! – e un assaggio di stufato, siamo arrivati alla votazione finale e al vincitore.
Ha vinto Mario Barbieri, un signore molto simpatico, che ha imparato dal padre la ricetta segreta, e ha proposto un ottimo stufato (anche per me era il migliore). Nella foto qui sopra lo vediamo premiato dal sindaco.
Mentre qui sotto un produttore di birra artigianale che ci ha fatto assaggiare questa birra nata nel maggio 2013. La sede legale è a Montevarchi, anche se il laboratorio per ora è in provincia di Pistoia. Per dimostrare che si può abbinare allo stufato anche la birra!
Insomma alla fine è stata una bella giornata, ho potuto imparare molto sulle tradizioni locali. Quante specialità ci sono anche in paesi più piccoli, che meritano di essere conosciute e divulgate.
[…] chi non lo sapesse da poco tempo a San Giovanni Valdarno (AR), patria dello stufato alla sangiovannese, ha inaugurato il “Museo delle Terre […]